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L’uomo eternamente ubriaco: “Ridatemi la patente, produco alcol senza bere”

Il caso di un 40enne in Belgio affetto dalla rara sindrome dell’autoproduzione di birra. I giudici vogliono vietargli di guidare per sempre

Un cittadino belga di 40 anni potrebbe vedersi ritirata a vita la patente di guida. Il motivo? L’uomo, residente a Bruges, soffre di una rara patologia che lo rende eternamente ubriaco. E pertanto, secondo la procura belga che si sta occupando del suo caso, non è in grado di guidare senza mettere a rischio la propria incolumità e quella degli altri.   

La vicenda comincia nell’aprile del 2022, quando l’uomo viene fermato a un posto di blocco e sottoposto all’alcoltest. Il 40enne si sentiva tranquillo, non avendo consumato alcolici nelle ore precedenti. Invece, i risultati del test mostrano che il suo tasso alcolemico è ben al di sopra di quello consentito dalla legge. Lo stesso accade qualche settimana dopo. Essendo recidivo, il suo dossier viene mandato in Procura. E qui inizia la querelle giudiziaria. 

Il 40enne sostiene di non aver consumato alcolici prima dei due controlli, e decide di farsi visitare da un medico. Dopo una serie di controlli, scopre di essere affetto da una rara malattia, la sindrome della fermentazione intestinale, nota anche come “sindrome dell’autoproduzione di birra”. In sostanza, “il mio corpo converte da solo i carboidrati e gli zuccheri in alcol, senza che io beva”, ha dichiarato ai media locali. 

Prove mediche alla mano, i suoi avvocati chiedono dunque alle autorità di annullare le multe e chiudere il procedimento contro il loro assistito. Ma la Procura è di altro avviso: poiché è dimostrato che l’uomo produce autonomamente alcol, le sue condizioni non gli consentono di poter guidare e quindi gli va tolta la patente. Per sempre.

I legali sostengono che la tesi dell’accusa sia infondata: “Il mio cliente non mostra alcun disturbo o sintomo di ubriachezza quando è sotto l’effetto della sindrome dell’autoproduzione di birra – dice l’avvocato Anse Ghesquiere a Hln.be – È perfettamente in grado di guidare. Si tratta di una condizione di cui si sa molto poco. Il mio assistito, in consultazione con i suoi medici, sta seguendo una dieta a basso contenuto di carboidrati, evitando cibi come mele, pane e cola. In questo modo si assicura che il suo corpo non produca più alcol da solo”.

La sentenza dei giudici è attesa per il 22 aprile. L’uomo chiede che la patente non gli venga revocata, anche perché senza auto sarebbe per lui impossibile recarsi al lavoro. La sua occupazione? Addetto di un birrificio di Bruges.  

Chiude l’Old Fashion di Milano

Il locale chiuderà a gennaio, successivamente sarà svuotato e riconsegnato alla proprietà. Il locale riaprirà a un nuovo indirizzo

Chiude l’Old Fashion di Milano. Meglio, la discoteca lascerà la sua storica sede di via Alemagna a fine gennaio. Una storia che si chiude dopo oltre 70 anni di carriera. L’ultima serata all’interno della storica sede in Triennale è il 20 gennaio. Successivamente il locale non morirà, riaprirà in un’altra sede ma per il momento non è ancora stato reso noto il nuovo indirizzo. Già nel 2019 la Triennale, proprietaria dell’immobile, aveva comunicato al locale che non avrebbe rinnovato il contratto d’affitto. Alla base della decisione due fatti di cronaca che si sono verificati fuori dal perimetro del night club. Nel luglio del 2018 all’esterno del locale fu accoltellato Niccolò Bettarini, figlio di Cesare e Simona Ventura. A ottobre del 2019, invece, una ragazza denunciò una violenza sessuale tra le auto. Non è ancora chiaro cosa prenderà il posto della discoteca che in oltre 70 anni di onorato servizio ha ospitato eventi mondani, ma anche volti noti del mondo del cinema e dello spettacolo come George Clooney, Whitney Houston, Justin Bieber, Ronaldo, Naomi Campbell, Leonardo DiCaprio, Paris Hilton, Jean-Claude Van Damme, Jamie Foxx, Marilyn Manson. Volti noti, ma soprattutto persone comuni: la serata universitaria del mercoledì sera è stato per decenni un vero e proprio appuntamento fisso per i ragazzi degli atenei milanesi.

La storia del locale

L’edificio in cui si trova l’Old Fashion è stato realizzato nel 1933 su progetto di Giovanni Muzio, la costruzione originale prevedeva già un ristorante con una “sala da concerti destinati alla fruibilità da parte del pubblico”. La vera storia dell’Old (perché a Milano si chiama così) inizia nel dopoguerra, dopo l’occupazione nazista durante la quale era un circolo ricreativo per gli alti ufficiali tedeschi. Negli anni Cinquanta la discoteca si chiama Trianon ed è il punto di riferimento per gli appassionati di rock’n’roll. Nelle sale adiacenti, invece, va in onda “Lascia o raddoppia”, trasmissione condotta da Mike Bongiorno. In questi anni passano dalle sale personaggi come Patty Pravo, Lucio Dalla e altri grandi nomi della musica Italiana. Una data memorabile è quella del 23 Giugno del 1968, serata in cui la chitarra di Jimi Hendrix infiamma la sala. Oltre 4mila persone assistono alla sua performance mentre una folla in delirio cerca di accedere ai locali. Successivamente il locale diventa “Wanted Saloon“ con una scenografia che dovrebbe ricordare un vecchio Western Saloon. La gestione, tuttavia, è fallimentare. Negli anni Settanta arriva il nome Old Fashion. Il nome deriva da un long drink a base di Whiskey e soda molto in voga in quegli anni che veniva servito in un bicchiere tumbler basso (chiamato anche Old Fashioned glass). È un ristorante & dancing con orchestra oltre che night club con arte varia che ,tra alterni momenti di gloria e cadute di stile, arriva fino al 1988. Da quella data e fino al 1992 , continua la propria vita con una programmazione a “singhiozzo”. Unica serata fissa: il mercoledì sera (denominata Blanco y Negro) che ha un pubblico universitario. Il locale “attuale” arriva con la ristrutturazione del 1995, dopo tre anni di ristrutturazione firmata dall’architetto Daniele Beretta che porta un ristorante con due sale da ballo e giardino. Nel 2006, invece, un restyling regala un look più minimalista e moderno, curato dall’architetto Fabio Rotella. Proprio nel 2006 il locale ottiene il riconoscimento di “negozio di rilevanza stoica” sia dal comune di Milano che dalla Regione Lombardia.

Lynn Goldsmith: «Fotografai Springsteen e subito mi innamorai. L’ho reso così sexy…»

dal Corriere della Sera

L’artista americana conobbe il cantautore nel 1972 e lo aiutò a “costruire” la sua immagine: «Assomigliava a tutti i ragazzi che avevo avuto dal liceo in poi, ma io volevo essere sicura di aumentare i suoi fans, cercavo le donne tra il pubblico e gliele mettevo al fianco»

Il primo scatto è stato ai piedi dei Beatles. Era il 1964, lei aveva solo 16 anni e non glielo hanno mai pagato. «Non mi piacevano, per questo li ho fotografati solo a metà. Allora si doveva scegliere, o eri dalla parte dei Rolling Stone o dei Beatles». All’epoca, però, era inimmaginabile che sarebbe potuta diventare ciò che è diventata, la fotografa che avrebbe immortalato divinità come Michael Jackson, Madonna, Prince, Sting, i B 52s, Blondie, i Rolling Stones – in pratica tutte le leggende degli ultimi 30 anni. Prima, infatti, era una manager musicale, una regista di corti e documentari e una pubblicitaria. Negli Anni 80 ha avuto anche successo come cantante, con il nome di Will Powers. «Non sono come Anne Leibovitz, che voleva diventare una fotografa ed è andata a scuola ad imparare», racconta dalla casa di Nashville, suo quartier generale.

«IO E LUI GUARDAVAMO TONNELLATE DI FOTO DEL BOB DYLAN DEGLI INIZI, PERCHÉ NEGLI ANNI 60 ERA QUELLO IL TIPO COOL» «Oggi pensano tutti che la mia carriera principale sia quella di fotografa,

la verità è che sono una pittrice». Lynn Goldsmith è immersa nella luce e buca lo schermo del computer con i suoi occhi color cristallo e i capelli d’argento. 75 anni, di cui 50 di carriera, ha l’energia di un’adolescente, come si addice a un’icona della fotografia rock’n’roll. Goldsmith ha anche vinto una causa alla Corte suprema degli Stati uniti contro la fondazione Andy Warhol, salvando il futuro del concetto stesso di diritto d’autore. Con quella forza interiore, c’è da scommettere sul fatto che abbia anche avuto un peso determinante nell’azzeccare l’immagine di Bruce Springsteen agli inizi della carriera, quando ne è diventata anche la fidanzata. Ricordi che riemergono guardando gli scatti di Lynn Goldsmith. Bruce Springsteen & The E Street Band , edizione limitata a 1778 copie da lei firmate e numerate, pubblicato da pochi giorni per Taschen (364 pagine, 600 euro, ordinabile nel sito taschen.com). È il 1977, dopo un singolo Springsteen e la E street band entrano in studio per registrare l’album che, con il successivo tour, avrebbe trasformato un «ragazzo del New Jersey» in una leggenda.

«NON HO MAI PROVATO PER LE ROCKSTAR AMORE INCONDIZIONATO, PERCHÉ SONO COMPLETAMENTE CERTA CHE SONO ESSERI UMANI»

La prima volta che ha incontrato Bruce se la ricorda?
«Ne 1972 la rivista Rolling Stone mi aveva incaricata di illustrare un articoltitolato “Iscriviti a un mese geniale”. Bruce si esibiva al The Bitter end di New York, un club minuscolo. Io ero sola con un flash di cui non avevo ancora fatto esperienza, mi sentivo nervosa, anche perché chiamavano questo tipo “un genio”».

Insomma, era spaventata.
«Mi sono detta “si accorgerà che non so cosa sto facendo…”. Cinque anni dopo mi ha confessato che era nella stessa situazione, perché io ero “una fotografa di Rolling Stone che andava a fotografarlo…”».

C’è un docu, The promise: the Making of Darkness and the Edge of town , che mostra come lavorava Springsteen: registrava molti più brani più di quelli che entravano nel disco, sfiniva i musicisti facendoli lavorare all’infinito. È arrivato addirittura a mettere la batteria in un ascensore, perché suonasse come voleva lui. Era così cocciuto anche con lei?
«Direi di sì, i grandi sono così, sentono ciò che vogliono nella loro testa poi cercano un modo per riprodurlo». Sul set fotografico riusciva a dirigerlo lei? «Sono io quella dietro la macchina fotografica, chi lavora con me mi ha sempre chiamata the boss! Di solito intervengo solo quando qualcosa proprio non funziona, altrimenti se un artista ha una chiara idea visiva di se stesso, come Patti Smith o Frank Zappa, sono più libera».

Il libro mostra foto di Bruce in giacca e foto in canotta, quale delle due anime è prevalente?
«Guardavamo tonnellate di foto del Bob Dylan degli inizi, perché negli Anni 60 era lui il tipo cool. La giacca con il colletto e quella specie di linguetta che Bruce indossava nel primo tour veniva da lì. Ma è italiano, indossava anche le t-shirts, e io volevo essere sicura che il suo pubblico non fosse solo un gruppo di ragazzi: volevo che fosse sexy».

«CERCAVO DONNE FRA IL PUBBLICO PER CIRCONDARLO E FARGLI LE FOTO. MANDAVO AVANTI GLI UOMINI DELLA SICUREZZA, NON SAPEVA CHE FOSSI IO A FARE CERTE MANOVRE»

Cosa ha fatto per tirare fuori il lato sexy?
«Proprio agli inizi, quando lo seguivano solo ragazzi, cercavo donne fra il pubblico per circondarlo e fargli le foto. Mandavo avanti gli uomini della sicurezza, non sapeva che fossi io a fare certe manovre».

Nel libro si menziona un concerto in cui c’erano solo tre persone in sala: quale fu la reazione del Boss?
«Non fece una piega, stava costruendo il suo pubblico, aveva bisogno di esibirsi. Era lo stesso con davanti una persona o centomila, all’epoca salire sul palco era una specie di droga, la sua eroina».

Incontrare Springsteen le ha cambiato la vita?
«Ho sempre pensato di essere fantastica e che le persone volessero stare con me perché apprezzavano il mio talento. Non mi passava per la testa che tutti, inclusi i manager, erano miei amici solo avvicinare lui. Mi dicevo, “tu sei molto più interessante, ti sei laureata in tre anni con la lode, cos’ha lui più di te”?».

«BRUCE È UN BRAVO SCRITTORE MA PRIMA DI INCONTRARMI NON AVEVA LETTO ‘FRANNY AND ZOOEY’ DI J. D. SALINGER… ERA MOLTO ESPERTO DI FILM, LE SUE CANZONE ERANO SCRITTE COME SCENEGGIATURE»

Cosa, visto che era definito un genio?
«È un bravo scrittore che prima di incontrarmi non aveva mai letto Franny and Zooey di J. D. Salinger, o Fiesta di Hemingway, cose impensabili per un americano. Ma era molto esperto di film, le sue canzone erano scritte come sceneggiature».

Tutti volevano essere Bob Dylan, anche Bruce?
«Voleva essere anche di più, e mentre Dylan era inaccessibile, lui era “l’uomo di tutti gli uomini”. Era una persona che combatte per essere onesta nel suo lavoro, un uomo in cui molti si riconoscevano».

Si è innamorata di lui?
«Senza dubbio, poi c’è da chiedersi cosa significhi, quando si è giovani. Fisicamente assomiglia a tutti i ragazzi che ho avuto dal liceo in avanti, stessa altezza, magro con capelli scuri».

«HO SEMPRE AVUTO UN’ATTRAZIONE PER CHI NON CONDIVIDE MOLTO DI SÉ CON IL RESTO DEL MONDO E BRUCE ERA COSÌ»

A livello caratteriale?
«Ho sempre avuto un’attrazione per le persone che non condividono molto di sé con il resto del mondo, Bruce non capitava a caso».

Un terzo libro su Springsteen si pubblica per soldi?
«Nemmeno per sogno, non so nemmeno quanto costa. L’ho voluto perché credo che i fans meritino qualcosa di valore, e l’editore è di altissimo livello. Per i fans i loro idoli sono veri e propri riferimenti, li ho sempre ammirati per questo motivo: assegnano valori eroici a degli esseri umani, e credono davvero di essere elevati da loro».

A lei non è mai successo?
«Le uniche persone che mi hanno fatto questo effetto sono Madre Teresa e Gesù Cristo, o guardare le immagini del deserto di Georgia O’Keeffe. Per intenderci, Brad Pitt o Bob Dylan non mi fanno quell’effetto».

Sta dicendo che dopo 50 anni che le immortala non comprende il fenomeno che ruota intorno alle rockstar?
«Lo comprendo molto bene, semplicemente non ho mai provato per loro l’amore incondizionato, perché sono completamente certa che sono esseri umani».

La cosa più romantica che ricorda, con il Boss?
«Un paio di foto nel bagno della sua casa in cui sono avvolta nel suo abbraccio, mentre faccio la foto».

Ha scelto lei la vostra foto insieme, all’inizio del libro?
«Non era prevista. Ho mandato un pdf a Bruce, chiedendogli di segnalarmi qualsiasi cosa non gli piacesse. Gli ho anche chiesto di scrivere qualcosa sui membri della E Street band. Mi ha risposto chiedendomi di spedirgli tutte le foto di noi due…».

Ubriaco si unisce alle ricerche per la sua scomparsa, ma la persona cercata era lui

Un Singolarissimo episodio è avvenuto in Turchia dove, un uomo ubriaco, dato per disperso, si è unito alle ricerche per la sua scomparsa, senza rendersi conto che la persona cercata era proprio lui. Il 50enne, Beyhan Mutlu, avrebbe capito che i soccorritori stavano cercndo lui solamente dopo aver sentito urlare il suo nome.

Secondo quanto riportato dal Daily Mail, l’uomo si trovava in un locale insieme a degli amici, poi è sparito. Non vedendolo tornare, i suoi compagni hanno allertato i soccorsi. Così è partita una squadra di ricerca alla quale, in un secondo momento, si sarebbe unito anche l’uomo scomparso, che all’udire del proprio nome avrebbe urlato: “Sono qui!”

“Il bianco attacca il nero”. YouTube chiude un canale di scacchi per razzismo

Ha fatto scalpore la notizia della chiusura per razzismo del canale YouTube “Il Bianco attacca il nero”. Purtroppo, però, si tratta di un canale che parla di scacchi e che non ha nulla a che vedere con l’odio razziale. La notizia è stata riportata dal proprietario del canale, Antonio Radic, che, con più di 1 milione di followers, gestisce uno dei canali di scacchi più popolari al mondo. 

L’intelligenza artificiale di YouTube, questa volta, è stata tratta in inganno dal nome del canale, che fa riferimento al colore dei pezzi degli scacchi. Fortunatamente, il canale è stato ripristinato dopo poche ore.

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